Il rapporto genitori-figli negli anni ’50 è molto “gerarchico”: gli adulti impongono un rigido modello educativo, poco incline al confronto e alla comprensione, decidendo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato; i figli devono obbedire, senza alcuna giustificazione.

 

Le trasgressioni, anche le più piccole, sono punite senza badare ai motivi che sottostanno ai comportamenti non conformi. Il dialogo e la condivisione delle ragioni non sono componenti del rapporto educativo ed ai figli, siano bambini o adolescenti, si chiede rispetto incondizionato delle regole e adeguamento ai modelli comportamentali proposti. La severità e la disciplina sono quindi aspetti caratteristici dentro le mura domestiche.

 

 

rapporto genitori figli

Foto tratta da: Archivio Fotografico della Provincia Autonoma di Trento

 

 

In alcune famiglie per rivolgersi ai parenti adulti si usa il “Voi” come formula di rispetto e di riconoscimento di una “superiorità” non discutibile. Ciò rimane implicito, tuttavia, anche nelle famiglie in cui si usa il più informale “Lei”, oppure il “tu”.

 

rapporto genitori figli

Foto tratta da: “Andalo e le sue genti”, 2009

 

 

I rapporti famigliari, inoltre, non coinvolgono solo i genitori, ma anche nonni e zii, che rappresentano riferimenti importanti per eventuali confidenze, consigli e opinioni alternative, e che meritano  genitori.

 

rapporto genitori e figli

La famiglia Macchi negli anni ’50. – Foto ©Gaetanoantonio Macchi

 

 

rapporto genitori figli

I fratelli Macchi con la mamma. – Foto ©Gaetanoantonio Macchi

 

L’affrancamento dalla famiglia è segnato dal servizio militare che per i maschi è un vero e proprio “rito di passaggio” all’età adulta. Per le ragazze, invece, il passaggio è rappresentato dal matrimonio o da esperienze di emigrazione temporanea.
Il rientro in famiglia al termine delle esperienze segna il riconoscimento del passaggio alla vita adulta, sebbene la figura genitoriale mantenga una propria valenza di autorevolezza e potere decisionale.

 

 

 

 

 

 

«Io ho avuto la fortuna di venire da una famiglia unita; ricordo questi incontri periodici con nonni, zie e così sempre animatissimi… c’era lo zio positivista che diceva che lui, operando, l’anima non l’aveva mai incontrata nel corpo umano; poi uno zio sacerdote, bravissimo, appassionatissimo di filosofia e storia dell’arte; mio padre era un “degasperiano” come si definiva, poi liberal-socialista; avevo uno zio monarchico che voleva convincerlo a votare per il re. Era molto sollecitante, poi erano tutte persone educate. Erano discorsi animati, anche per questo incontro di culture, e a me sono serviti molto.» [Franco de Battaglia, nato a Trento nel 1943]

 

 

 

 

«Mi ricordo che mia madre aveva fatto fare dalla sarta tre tailleur verde pisello “come le signorine per bene”. A me non piaceva, preferivo le cose originali, cose che non aveva nessuno. Però lo mettevo lo stesso perché c’era un rispetto per i genitori abbastanza forte, non esisteva “rebeccare” un genitore: mio padre diceva “sssh!” e si taceva.» [Paola Gottardi, nata in val di Cembra nel 1942]

 

 

 

Credit materiale: [Progetto Piano Giovani di Zona Generiamo Memoria 1 − tematiche legate al
genere e la registrazione della memoria storica della popolazione trentina – 
Associazione Culturale Te@]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Credit material: Un ringraziamento a Gaetanoantonio Macchi per le fotografie.

 

 

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