Tra le priorità incombenti del dopoguerra, vi è la ricostruzione, con l’esigenza di ripristinare strade ed edifici. Le abitazioni sono poche rispetto alle necessità della popolazione, che è in aumento; oltre alle case distrutte, quindi, c’è il bisogno di edificarne di nuove.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Trento, p. zza Garzetti e le vecchie case delle androne – Foto dell’Archivio Storico della Provincia Autonoma di Trento

 

 

 

L’emergenza abitativa però è affrontata senza particolari strumenti di controllo: le case distrutte dai bombardamenti devono essere ricostruite al più presto e l’espansione edilizia è caotica soprattutto a causa della mancanza di un piano regolatore che stabilisca dei limiti precisi.

 

In particolare, la città di Trento conosce un significativo ampliamento entro la prima metà degli anni Cinquanta: nel rione Cristo Re, sono pronti più di 250 alloggi di edilizia economico-popolare progettati dall’architetto Efrem Ferrari; a Piedicastello ne sono edificati altri; e altrettanti sono costruiti grazie ai finanziamenti del “Piano Fanfani”. In questa logica nascono nuovi quartieri e i centri urbani iniziano ad espandersi: a Rovereto nasce la “Mantovana”, e nel capoluogo vengono edificati il “Villaggio Rosa” in via Giusti e il rione San Bartolomeo.

 

 

 

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Il quartiere di Piedicastello negli anni ’50 – Foto dell’Archivio Storico della Provincia Autonoma di Trento

 

 

 

 

 

 

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Il quartiere residenziale Bolghera negli anni ’50 – Foto dell’Archivio Storico della Provincia Autonoma di Trento

 

 

 

Le case sono ancora costruite secondo vecchi standard, spesso i bagni sono situati all’esterno degli edifici o in comune: l’unica fonte di riscaldamento è rappresentata nella maggior parte dei casi dalla stufa a legna in cucina e in alcuni rari casi manca anche l’acqua corrente, tanto che bisogna andare
alla fontana del paese per prendersela.

 

 

 

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Le Androne di Trento e L’acqua alla fontana – Foto dell’Archivio Storico della Provincia Autonoma di Trento

 

 

 

Per far fronte al bisogno della ricostruzione, in questi anni nascono molte cooperative edilizie anche
in Trentino. Tra queste va ricordato il “Movimento dei Castori”, una cooperativa che unisce le forze
di quanti vogliano costruirsi una casa e sono disposti a mettere in comune il tempo libero per
realizzare in proprio i lavori edilizi.

 

 

... Diamo un po' di numeri!

Dal censimento del 1951, la popolazione trentina conta 394.704 persone; dieci anni dopo, al censimento del 1961, arriva a 412.104.

 

La popolazione è concentrata nei centri maggiori e nel capoluogo, anche se il Trentino, storicamente, è composto da tanti piccoli insediamenti. La polverizzazione comunale porta il numero dei Comuni da 179 (nel 1951) a 227 (nel 1961), e la loro superficie varia moltissimo: il più piccolo, Fiera di Primiero, occupa 0,15 km quadrati mentre il più vasto, Pejo, si espande per ben 162,52 chilometri quadrati (la superficie di Trento supera di poco i 157 chilometri quadrati).

 

 

 

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La collina verde di Villazzano negli anni ’50 – Foto dell’Archivio Storico della Provincia Autonoma di Trento

 

 

 

Con le grandi migrazioni di questo decennio e lo spostamento delle famiglie dai paesi alle città si assiste ad un incremento della popolazione nei comuni situati a valle. La densità è di 64 abitanti per chilometro quadrato, un dato molto inferiore alla media italiana; Trento ha una densità demografica di 170 e Rovereto di 100.

 

 

 

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Foto dell’Archivio Storico della Provincia Autonoma di Trento

 

 

 

Stando alle rilevazioni del 1957 il territorio provinciale misura 621.266 ettari, suddivisi in base al diverso utilizzo: più della metà è costituito da superficie boschiva (quasi il 55%); il 43% è utilizzato come superficie agraria (suddiviso tra seminativi, colture legnose specializzate e colture foraggere permanenti); il restante è incolto.

 

 

 

 

 

 

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Veduta aerea della val di Cembra – Foto dell’Archivio Storico della Provincia Autonoma di Trento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Nuove case sul monte Bondone, 1950. – Foto: Archivio Catina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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