Lettere dei nonni del Basso Sarca

 

«Eravamo infatti consapevoli da un lato, che la scuola non sempre riesce a collegarsi alla realtà del territorio, che sempre meno frequentemente i ragazzi sono i depositari delle narrazioni che costituiscono la loro mitologia familiare. Nessuno ormai ha più il tempo per raccontare, meno ancora per scrivere» [tratto da T. Calzà e L. Robustelli (a cura di), “Caro nipote ti scrivo”. Lettere dei nonni del Basso Sarca ai nipoti, Mnemoteca del Basso Sarca, Arco (TN) 2008]

 

Questo è lo spirito che anima le pagine del testo Caro nipote ti scrivo, curato da Tiziana Calzà e Laura Robustelli nell’ambito delle attività dell’Associazione di Promozione sociale “Mnemoteca del Basso Sarca”. Il progetto è stato rivolto agli alunni delle classi elementari di Arco, Riva del Garda e Dro ed ai loro nonni, che sono stati invitati dai ragazzi a raccontare sotto forma di lettera storie della loro vita ai loro nipoti.

 

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T. Calzà e L. Robustelli (a cura di), “Caro nipote ti scrivo”. Lettere dei nonni del Basso Sarca ai nipoti, Mnemoteca del Basso Sarca, Arco (TN) 2008

 

Attraverso le parole dei protagonisti viene così ricostruito il panorama economico e sociale dei decenni successivi alla guerra nella Valle del Sarca. Emergono così storie di emigrazione, in Svizzera, Germania e Belgio, ma anche immigrazione, dal Sud Italia e dai paesi oltre oceano. Memorie di una vita dura, spesa soprattutto nel lavoro e nella consapevolezza della necessità del sacrificio quotidiano per garantire la sopravvivenza alla famiglia. Ricordi tinti comunque di una nota di nostalgia per un’esistenza semplice, scandita da ritmi umani e, nonostante tutto, felice.

 

«Cara nipote Deborah,

sono nato nel 1937, a quattordici anni ho iniziato a lavorare come bracciante agricolo a Lecce ed ho lavorato fino all’età di vent’otto anni, questo lavoro l’ho imparato lavorando in campagna con i miei genitori pure braccianti.

Nel 1958 sono emigrato in Francia, successivamente in Svizzera fioa al 1964. In campagna si lavorava dalle otto del mattino fino alle cinque del pomeriggio nella fabbrica Svizzera dalle sette fino alle 19,30.

Nel 1965 mi sono sposato con nonna Cesira che di lavoro faceva la contadina. Un anno dopo andammo insieme a piantare tabacco in provincia di Potenza in un paese chiamato Lavello. Il guadagno era misero, invece era buono il rapporto con i compagni di lavoro.

Nel 1967 tornai in Francia, solo per quaranta giorni, a piantare le barbabietole da zucchero.

Tornato a casa lavorai in una cava di pietra calcarea, a rompere dei grossi massi con una mazza da otto chilogrammi. Dopo cinque anni i datori di lavoro cambiarono e dopo un paio d’anni comperarono un escavatore per rompere la pietra ed allora passai a fare buchi con un attrezzo a posta.

Nell’ottobre del 1978 passai a lavorare per una impresa di acquedotti e fognature, per la quale facevo impianti nelle case private. Dopo cinque anni diventai capo operaio.

Per divertirmi andavo nelle sale da ballo o al bar con gli amici.

Poi nel 1998 mi sono pensionato ed ora sono felice di essere qui con la mia famiglia.

Nonno Pasquale Pasca» 

 

[tratto da T. Calzà e L. Robustelli (a cura di), “Caro nipote ti scrivo”. Lettere dei nonni del Basso Sarca ai nipoti, Mnemoteca del Basso Sarca, Arco (TN) 2008]

 

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Tratto da T. Calzà e L. Robustelli (a cura di), “Caro nipote ti scrivo”. Lettere dei nonni del Basso Sarca ai nipoti, Mnemoteca del Basso Sarca, Arco (TN) 2008

 

«Carissimo Lorenzo,

mi chiedi di raccontarti di tanti anni fa, ma la memoria, purtroppo, perde colpi, perciò accontentati di poche cose.

Appena finita la guerra, uno dei “giochi” interessanti era scoprire le cose che non avevamo mai conosciuto: lo zucchero, per esempio, questa polvere color marrone che uno dei nostri compagni aveva trovato facendo un buco in uno dei sacchi depositati in un magazzino; oppure la cioccolata, o meglio il surrogato di cioccolato, che si tagliava a pezzi da magniare col pane, a merenda. Anche la crema di arachidi era una novità, e si usava come la Nutella oggi. Più tardi arrivò anche il pane bianco, ed era una grande festa trovarlo in tavola! Infine, ringraziando il cielo, anche il famoso caffé, per cui non fu più necessario tostare l’orzo col “brustolin”, che faceva fumo e odore anche a mescolare lentamente. (…)

Ci si divertiva allora? Sì, bastava poco… A scuola si andava dalle otto e mezzo alle undici e mezzo, e poi dalle quattordici alle sedici, e il giovedì era vacanza, quindi avevamo anche molto tempo per giocare. Le strade e le piazze erano nostre, c’erano poche macchine, i viali erano più larghi e con alberi molto alti. In viale Canella, ad esempio, c’erano gli ippocastani, e in primavera coi rametti nuovi ci facevamo gli zufoli.

Ma il luogo preferito, sempre aperto, era l’Oratorio. Passavamo ore a giocare a calcio, a calcetto, con le giostre; ma quello che ha dominato per anni è stato il gioco delle“balote”, ogni ragazzino aveva un sacchetto di tessuto con le sue biglie di terracotta colorata. Si dovevano vincere più palline possibile: a castelletto, a buca, a stecca, eccetera.

Alla sera ci si divertiva in casa con i giochi delle carte o col Monopoli, mentre qualcuno pensava a cuocere le castagne al forno, o in acqua, oppure sbucciate e cotte in acqua e salvia. Altre attività serali erano i lavori col traforo: quante costruzioni abbiamo fatto!

Oggi, con le case tutte belle, sarebbe impossibile imparare tanta manualità. (…)

Ti abbraccia

il tuo affezionatissimo nonno Gino»

 

[tratto da T. Calzà e L. Robustelli (a cura di), “Caro nipote ti scrivo”. Lettere dei nonni del Basso Sarca ai nipoti, Mnemoteca del Basso Sarca, Arco (TN) 2008]

 

 

 

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