Dagli internamenti alla tragedia sfiorata

 

Risale al 15 luglio 1953 il primo incidente di inquinamento ambientale causato dallo stabilimento SLOI: le zone di Campotrentino e Cristo Re sono invase da una nube di cloro, uscita dal rubinetto di un serbatoio chiuso male; quattro operai sono ricoverati, trenta persone della zona risentono dell’incidente e le piante da frutto nelle campagne sono danneggiate.

Negli anni Sessanta aumenta la produzione della fabbrica per il boom economico e questo comporta un aumento della concentrazione di piombo nell’aria con ricadute sulla salute degli operai e sull’ambiente.

E dopo l’alluvione del 1966 risulta ancora più evidente la pericolosità della fabbrica: il sodio, necessario alla produzione di piombo tetraetile, a contatto con l’acqua esplode e le riserve di piombo tetraetile presenti nello stabilimento incendiandosi avrebbero potuto certamente provocare una pericolosissima nube tossica. Nonostante ciò, dopo l’alluvione, lo Stato finanzia il risanamento della SLOI e ne incentiva la produzione.

 

Stabilimento SLOI – © Archivio fotografico storico della Provincia autonoma di Trento

 

«Nessun operaio era all’oscuro della pericolosità del piombo tetraetile, ma si veniva perché si aveva bisogno di lavorare, si veniva perché si aveva comunque bisogno di mantenere la famiglia, si veniva per evitare di andare all’estero, per evitare di emigrare. Si veniva qui per tante ragioni.» [Parole di Angelo Parolari, tratto dal video: “Sloi. La fabbrica degli invisibili”, Gruppo Culturale U.C.T. e Provincia Autonoma di Trento, 2009]

Dal 10 gennaio 1968 la SLOI rientra nella lista delle aziende insalubri del Ministero della Sanità. E nel corso del 1969, nel clima di scioperi e rivendicazioni, gli operai protestano per le condizioni di lavoro rischiose per la salute: “in ogni litro di benzina c’è un po’ della nostra salute”. I lavori di risanamento della fabbrica non sono sufficienti a ridurre la nocività di quella che passerà alla storia come la “fabbrica della morte”.

All’inquinamento ambientale si aggiungono infatti numerose intossicazioni degli operai dovute alle inalazioni tossiche del piombo tetraetile. Durante gli anni Sessanta si registrano 1108 casi di infortunio di cui circa 300 per avvelenamento da piombo, che si manifesta inizialmente con giramenti di testa e inappetenza fino ad avere delle visioni. Più di 600 malati sono mandati alla clinica del lavoro di Padova e altri all’Ospedale di Trento; molti sono ricoverati all’Ospedale psichiatrico di Pergine senza mai uscirne.

Nel 1970 viene assunto, come medico di fabbrica, Giuseppe De Venuto che nota come i disturbi degli operai siano simili all’alcolismo e quindi vadano trattati con neurovaccini, elettroshock e camicie di forza. Il medico, dopo nove mesi di lavoro, si oppone ai dirigenti e, dal momento che gli viene impedito di curare i lavoratori, presenta una lettera di dimissioni e una lettera di denuncia pubblicata sul giornale. Parallelamente, nel luglio 1971, il Procuratore della Repubblica, Mario Agostini, ordina la chiusura della fabbrica, ma, per non perdere il lavoro, gli operai si oppongono alla decisione.

 

La fabbrica continuerà la sua produzione fino a quella tragica sera del 14 luglio 1978, quando un terribile incidente metterà definitivamente in luce la pericolosità dell’impianto e le autorità ne decideranno la chiusura.

«I dirigenti si sono lavati totalmente le mani, sapendo che c’era della gente che andava tutti i giorni incontro alla morte. Quando hanno cominciato veramente a scoprire e a sapere, allora sì, hanno cercato di nasconderlo. La colpa non la do alla SLOI, la colpa la do a chi dirigeva la SLOI, a chi per il profitto non ha esitato a mandare questi operai… certo non col fucile spianato, però con la lusinga. È una tattica diversa: con la lusinga di un’ora di più, di mille lire di più in busta paga; e l’operaio che aveva una famiglia sulle spalle ha scelto di dire: “lo faccio per la famiglia”!». [Noemi Tosi (moglie di un operaio), tratto dal video: Sloi. La fabbrica degli invisibili, Gruppo Culturale U.C.T. e Provincia Autonoma di Trento, 2009]

 

 

 

 

 

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