Le reazioni dei Trentini alla nuova università. I cambiamenti e le contestazioni studentesche.

 

Trento diventa meta di un considerevole numero di giovani interessati alle riflessioni che propone la facoltà di Sociologia. Sono giovani disposti a mettere in discussione i modelli culturali e sociali consolidati e carichi di voglia di sperimentare nuove vie. La facoltà è una vera e propria città dentro alla città, con regole e costumi propri: ciò che scuote la popolazione di Trento non sono le occupazioni in sé (la prima occupazione è nel 1966 per ottenere il riconoscimento giuridico del titolo di laurea), ma il fatto che maschi e femmine occupino “assieme” l’università, anche di notte. L’Università sta portando, direttamente e meno, molti cambiamenti nella popolazione trentina: i ragazzi sostituiscono i golfini, le giacche e le cravatte, con jeans, maglioni, eskimo, clarks e si lasciano crescere barbe e capelli, mentre le ragazze optano per acconciature e look più audaci, con jeans e minigonne.

 

La città non è culturalmente pronta ad accogliere gli studenti ed il carico dei loro sogni, progetti e nuove prospettive; la paura della novità e del cambiamento rende complicata la convivenza, ma è merito della facoltà di Sociologia e dei suoi giovani protagonisti se nuove riflessioni e approcci al mondo prendono piede e trascinano Trento nella contemporaneità.

 

Lo stereotipo corrente ci propone un ’68 carico di rivendicazioni di diritti civili e politici in un contesto di grande leggerezza e promiscuità sessuale. In realtà, l’impegno per scardinare le rigidità del pensiero e per proporre alternative possibili rispettose delle libertà individuali, necessitano di slogan provocatori, di manifestazioni e di comportamenti che rompono col passato. L’obiettivo è instillare dubbi, far riflettere sul fatto che ci può essere un modo diverso di vivere e di organizzare la società. Questi sono giovani impegnati nella scoperta, nella costruzione di un mondo migliore: una generazione che si diverte poco, impegnata sul fronte della “rivoluzione” e del protagonismo politico.

 

Gli studenti vogliono un’università meno rigida e formale, aperta al dialogo e all’ascolto reciproco. Ciò sembra accadere nella facoltà di Sociologia di Trento, dove si vivono occasioni di confronto con docenti conosciuti e prestigiosi (solo per ricordarne alcuni: Francesco Alberoni, Giorgio Galli e Beniamino Andreatta).

Il ’68 rappresenta la ribellione generale, non solamente nei confronti dei massimi sistemi: è ribellione nella propria vita, verso la famiglia e le sue regole rigide e plurisecolari, verso gli stereotipi, è, secondo il sociologo Peter Wagner, un “fenomeno globale”.

 

 

1968

Striscioni all’ingresso della facoltà di Sociologia. – Foto: Archivio della Provincia Autonoma di Trento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Il ’68 è stato una rivolta. Nel 1968 ero militare, quindi non l’ho fatto, facevo la guardia alla caserma. Ma il pre-’68 è stata una presa di coscienza della gioventù di allora contro i condizionamenti sociali, le violenze psicologiche e le costrizioni del mercato. I libri simbolo erano: «The Organisation man», che descriveva e attaccava le selezioni di lavoro in base ai test e alle crocette – fra noi facevamo i corsi per rispondere “giusto”, la rivolta contro l’essere schedati, che era l’opposto di ciò che le imprese si aspettavano da giovani voluti remissivi, conformisti e plasmabili ai loro interessi.; anche «L’immaginazione sociologica», la sociologia non è soltanto descrivere e studiare la società, ma costruire prospettive e occasioni nuove, con immaginazione sociale ed umana, appunto; un altro libro era «L’uomo a una dimensione» – al di là del contenuto, di cui potremmo discutere per ore, è bellissimo il titolo. L’uomo deve averne cento di dimensioni, tante, quella dell’impegno e quella della bellezza, quella della capacità di leadership, ma anche e soprattutto gli affetti, la dolcezza, il voler bene … non c’è mica soltanto essere più bravi di tutti, o ricchi Vip, come si dice oggi. Che brutta parola! Fino al 12 dicembre 1969, quando è esplosa la bomba alla Banca dell’Agricoltura a Milano, sembrava che il movimento potesse, con le proteste, cambiare le cose, ma la Banca dell’Agricoltura ha segnato proprio la discriminante: è stata la strumentalizzazione violenta; già allora tutti sapevano che era una provocazione. Il dramma è che devi fare una protesta, anche forte, perché il mondo cieco se ne accorga: se fai articoli di giornale non se ne accorge nessuno, ma nel momento in cui fai una protesta forte è subito facilmente strumentalizzabile; nel momento in cui la violenza poi crea una vittima, innesti un circolo senza uscita. Difatti il terrorismo è stato la fine di questo sogno degli anni Sessanta, che era nato su basi di riflessione non banale. Anche adesso è la stessa cosa: i giovani hanno lo stesso problema: come possono essere integrati nella società e nel mondo senza esserne succubi, schiavi, appiattiti? Credo che questa generazione si stia facendo queste domande ed è un po’ quello che si cercava allora. Il ’68 era nato proprio con questo mondo che si apriva, questa tecnologia che prendeva piede.» [Franco de Battaglia, nato a Trento nel 1943]

 

 

 

1968

Gli occupanti e la pausa caffè (Curcio a destra). Foto di Giorgio Salomon, tratta da: “Trento 1950-1980. Trent’anni di storia e cronaca” Temi editrice

 

 

 

1968

Studenti durante l’occupazione. – Foto: Archivio della Provincia Autonoma di Trento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1968

Corteo in via Belenzani e piazza Duomo. – Foto di Giorgio Salomon, tratta da:  “Trento 1950-1980. Trent’anni di storia e cronaca” Temi editrice

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Il ’68 è stato tante cose. Il mio Sessantotto è stato “sopravvivere”, cioè trovare un modo per lavorare; avevo una situazione familiare un po’ complicata e quindi dovevo fare quel che potevo; andavo a lavar vetri in Germania e si lavorava all’ortofrutticola, si faceva la cernita della frutta, la sera a impaginare l’Adige, che allora si faceva a mano. Quindi la mia preoccupazione maggiore era procurarmi di che vivere, suonare la chitarra, che era la mia passione prevalente, e recuperare quello che perdevo facendo queste cose e cercando di studiare. Il ’68 io l’ho affrontato non da movimento studentesco. C’erano gli hippy, c’erano gli impegnati del movimento studentesco e c’erano i qualunquisti, quelli che cercavano di tirare a campare come potevano. Io facevo parte di questa terza categoria, quindi scarso impegno politico, se non le ribellioni, questo sì. Le ribellioni a un mondo ordinato, all’autorità, soprattutto familiare; sono uscito di casa giovanissimo, non avevo ancora diciotto anni.
Se il ’68 rappresentava ribellione (quasi tutti noi eravamo insofferenti) l’idea di costruire un mondo alternativo era di tutti: di chi lo pensava in termini politici, di chi voleva fare la guerra coi fiori e di chi sostanzialmente voleva avere una vita propria, autonoma, dove si potevano decidere le cose da fare.» [Mauro Marcantoni, nato a Trento nel 1949]

 

 

 

1968

Contestazioni studentesche. – Foto: Archivio della Provicia Autonoma di Trento

 

 

 

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Sit-in in piazza Duomo. – Foto tratta da: “Trento. Cronache 1950-2000”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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