Storie di vita vissuta

 

Diventare contadini per necessità può rivelarsi ricco di soddisfazioni

«L’inizio di questa esperienza risale agli anni del Dopoguerra (1948-’49). La mia famiglia è sempre vissuta a Rovereto, anche se mio marito lavorava a Bolzano e rientrava solo per il fine settimana.

Egli aveva partecipato a un concorso per cantoniere delle ferrovie e, risultato idoneo, era stato destinato a Bressanone, con la disponibilità di un casello situato 3 km a sud della città: questo fatto comportava il trasferimento di tutta la famiglia, perché la distanza tra Rovereto e Bressanone diventava impegnativa.

Il primo impatto è stato devastante: abituati da sempre a vivere in città e poi trovarsi in una casa isolata, circondata unicamente da prati, campi, boschi, il fiume Isarco, binari e statale e veder muoversi tranquillamente vicino alla casa lepri, fagiani, serpi e scoiattoli, rappresentava per noi uno scenario completamente nuovo e sconosciuto, uno stato di totale isolamento mai sperimentato.

Oltretutto bisognava trovare in fretta una soluzione alle scarse disponibilità economiche, perché i risparmi erano decisamente scarsi e dovevano passare due mesi prima di avere altri soldi a disposizione (una famigerata “tassa di entratura” sottraeva ai neo-assunti come mio marito un mese intero di stipendio).

L’unica possibilità era di sfruttare economicamente il vasto terreno di pertinenza del casello, ma nessuno di noi aveva mai coltivato un solo centimetro di terra, e l’unica che aveva l’opportunità di poterlo fare ero io […].

In un paio di stagioni sono diventata piuttosto brava, ricevendo spesso i complimenti dei lavoranti che in fatto di bravura ed esperienza non erano secondi a nessuno.

Questa grande passione, all’inizio nata per necessità, si è rivelata ricca di soddisfazione personale e d’interesse “professionale”, infatti, anche nei successivi trasferimenti quando c’era del terreno disponibile, non ho mai trascurato l’attività di contadino “a mezzo servizio”.» [Emma, Rovereto, in “Gli anziani si raccontano”, Associazione Diritti Anziani, Trento 2012]

 

Vita

“Gli anziani si raccontano”, © Associazione Diritti degli Anziani di Trento

 

Durante la guerra ogni stratagemma è buono per sopravvivere e non patire la fame

«All’età di nove anni sono entrata in collegio a Trento. Era il 1943 e improvvisamente, un giorno qualsiasi, siamo stati sfollati e mandati ad abitare, pur temporaneamente, a Terlago. Di quei tempi ricordo i lunghi pellegrinaggi fino alla parrocchia di Piedicastello per procurarsi la pasta, la farina e i beni necessari per sopravvivere. Ho un’esperienza impressa nella memoria che ancora oggi mi ha lasciata in un certo senso traumatizzata: nella pasta, infatti, soggiornavano dei simpatici ospiti, ovvero vermicelli, non certo gradevoli da mangiare! E allora via, alla lotta estenuante, io e le mie compagne, per cercare di estrarre quegli insetti che popolavano i nostri unici beni alimentari.

All’epoca il cibo era un bene prezioso, come oggigiorno l’oro! Io mi adattavo alla situazione; la sera, nella mensa, nascondevo le patate sotto il tavolo cosicché la mattina avessi qualcosa da mangiare. Certo sembra strano: è raro trovare qualcuno che fa colazione con le patate di questi tempi! Ma durante la guerra, ogni stratagemma era buono per sopravvivere e non patire la fame.

Durante il giorno vedevamo sfilare i soldati tedeschi nelle loro uniformi militari; talvolta quei “signori della guerra” m’incutevano un certo timore, perfino soggezione. Era strano vivere in quell’atmosfera; una perenne sensazione di attesa, d’ignoto, che alleggiava nell’aria e che a volte sembrava perfino si potesse respirare. Sopra i nostri tetti, gli aerei, sfrecciavano minacciosi, carichi di bombe e terrore. Degli Uccelli della Morte pronti a colpire e a spezzare, in un solo istante, migliaia di vite. Nei nostri cuori c’era la speranza che un giorno tutto questo terminasse, che non dovessimo più rifugiarci, una volta calato il sole, sotto la montagna per sfuggire agli attentati.» [Anonima, in “Gli anziani si raccontano”, Associazione Diritti Anziani, Trento 2012]

 

«L’aereo “Pippo” era un mezzo molto piccolo che visionava le zone di notte e colpiva indistintamente se vedeva anche una piccola luce. Ciò mi creava ansia. Di sera si usava esclusivamente la candela per essere sicuri di non far vedere la luce. Mi svegliavo durante la notte e correvo verso le finestre per vedere se erano ben coperte.» [Umberto Franceschini, in “Gli anziani si raccontano”, Associazione Diritti Anziani, Trento 2012]

 

I maialini non sono grandi corridori!

«Ero in Folgaria, l’8 settembre [1943 N.d.R.] e frequentavo la seconda media. Nel prato davanti alla Chiesa dedicata alla Madonna, si celebrava una sagra, che prevedeva anche una giuria deputata alla valutazione del bestiame dei concorrenti. Mio zio voleva, dunque, comprare un maialino da far sfilare davanti ai giudici e poi l’avrebbe mangiato. A un certo punto, durante la sagra, vediamo apparire nel cielo una specie di aliante tedesco che arrivava dalla zona di Calliano. Dall’aereo furono lanciati volantini che recitavano: “Stanno arrivando gli alleati tedeschi per aiutare gli italiani contro gli americani, giunti ormai in Sicilia”. Nel volantino, inoltre, si ordinava che chiunque avesse posseduto armi, avrebbe dovuto consegnarle al comando. Chi non avesse seguito tale indicazione avrebbe corso il rischio di essere fucilato (sanzione di guerra).

Appena la gente ebbe letto il volantino, si dileguò immediatamente. Anch’io scappai con il maialino, appena comprato, attaccato alla corda. Mentre, però, io correvo veloce, lui, poverino, si “ribaltava”, inciampava, rotolava, rimbalzava e “correva più di schiena che di gambe”.
A un certo punto, però, sentii uno strano rumore, e spaventato, mi nascosi tra gli alberi. Vidi così che i tedeschi erano già arrivati. Io, mi misi di nuovo a correre “come un matto” trascinando quel povero maialino.» [Anonima, in “Gli anziani si raccontano”, Associazione Diritti Anziani, Trento 2012]

 

Vita

“Gli anziani si raccontano”, © Associazione Diritti degli Anziani di Trento

 

Mia mamma è stata forte

«Da poco tempo mia madre non c’è più. Dopo tutte le incombenze che si devono fare c’è anche quella di svuotare la sua casa.

Lei teneva tutto: tra le altre cose, ci sono alcune scatole di documenti e oggettini vari: santini; libri di preghiere; due volumetti con i testi di Sanremo e un orologio da taschino che mi era stato donato al mio Battesimo dal mio padrino e ciò mi ha fatto ricordare la ragione di questo dono.

Mia madre conobbe quando era ancora giovane un bel ragazzo biondo e rimase incinta. Lui non si assunse le sue responsabilità, e dopo poco non si fece più vedere. Io quindi sono figlio di N.N., come si diceva un tempo, cioè illegittimo.

Il fatto peggiore è che a quei tempi (parlo del 1933), avere un figlio senza essere sposata era un disonore per la famiglia. E, infatti, ci sono state molte tensioni, create soprattutto dalla sorella maggiore, che era molto contrariata per la condizione in cui versava mia madre e continuava a fargliela pesare. Alla fine mia madre, che non sopportava più quella condizione conflittuale in famiglia, trovò la forza di cercarsi un lavoro e di andarsene di casa. Aveva trovato lavoro come domestica nella casa di un signore in un paese non lontano da Trento, proprio quel signore che mi regalò l’orologio[L. Z., Strigno, in “Gli anziani si raccontano”, Associazione Diritti Anziani, Trento 2012]

 

 

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